Sentieri della Cesura e delle "Teragnóle"

La valle di Terragnolo nei pressi della forra del Leno
Lunghezza: 11,77 Km
Dislivello: 394 m.
Tempo in movimento: 3h
Altitudine max: 708 
Difficoltà: media


La valle di Terragnolo

La valle di Terragnòlo è situata nel Trentino meridionale, a nord-est di Rovereto, tra il Pasubio ed i monti Finonchio Maggio. La SS2 la collega a Rovereto e a Serrada-Folgaria mentre il passo della Borcola Posina e alla pianura veneta. I 33 piccoli nuclei abitativi del comune di Terragnòlo (716 abitanti nel 2015) si trovano quasi tutti sulla destra del torrente Leno,  perché più soleggiata e più adatta alle coltivazioni nei campi terrazzati, mentre il versante sinistro è selvaggio, ombroso, più soggetto a frane e poco abitato

Il sentiero della Cesura

Un'importante "strada vecia" per l'accesso alla valle era costituita da una mulattiera che da Rovereto portava a Noriglio e da lì scendeva, attraversando la stretta e franosa forra del  torrente Leno, ai paesi di S. Nicolò e Fontanelle per poi risalire verso località Cesura e  attraversare tutta valle (21 km) fino a giungere al passo della Borcola
Pannello informativo
Questo antico percorso è stato recentemente ripristinato e prende il nome di sentiero della Cesura (da Noriglio a località Cesura). A causa di inagibilità per frane si è dovuto modificare il tratto tra località Caròte di Noriglio e la forra del Leno senza però nulla togliere alla bellezza del cammino. Il sentiero della Cesura rappresenta l'andata della nostra escursione.


Il sentiero delle Teragnóle

Il sentiero di ritorno ci riporta nuovamente al passato. Correva l'anno 1701 quando il principe Eugenio di Savoia, durante la guerra di successione spagnola, per necessità legate alla guerra, decise di allargare e in parte ricostruire una già esistente carrabile che attraversava a mezza costa la valle
Il sito dedicato
La carrabile fu chiamata con vari termini, "strada comune", "del principe Eugenio",  "strada vecia dei Teragnói" e restò fino al 1909 (anno dell'inaugurazione dell'attuale strada provinciale) la sterrata che le donne di Terragnòlo (provenienti soprattutto dalle frazioni  Scottini, Dieneri Potrich) percorrevano a piedi quasi quotidianamente  per portare i prodotti della loro terra, legna, patate, funghi, ciliegie, uova, piccoli frutti, fiori e soprattutto latte, fino a Rovereto, dove erano venduti.
Recentemente il tracciato è stato ripristinato grazie all'aiuto di volontari, associazioni locali ed enti pubblici. Le informazioni del giro sono tratte dall'ottimo sito dedicato all'affascinante storia di questa strada e dai pannelli informativi lungo il percorso ai quali rimando per gli approfondimenti (il testo dei pannelli si ritrova nel sito in formato PDF)


Il percorso


La segnaletica
Nel percorso fatto da noi abbiamo raccordato il sentiero della Cesura con una parte del sentiero delle Teragnóle,  disegnando un anello che parte e arriva a Noriglio, località posta all'inizio della Val di Terragnòlo. E' un sentiero facile adatto a tutte le scarpe e molto godibile per gli aspetti  naturalistici e storici grazie anche alla presenza di numerosi pannelli informativi  (4 per la Cesura, 6 per quello delle Teragnóle che in più possiede 17 punti dotati di QR code per la connessione ad internet). Qualche punto esposto ma attrezzato nella parte alta del sentiero della Cesura invita alla prudenza. Se per quest'ultimo non vi sono problemi di orientamento, la segnaletica del sentiero delle Teragnóle, rappresentata da piccole targhette rosse, è per ora lacunosa o assente, ma è difficile perdersi. Lungo il percorso incontreremo diverse fontane e punti d'acqua
La strada per S.Nicolò attualmente chiusa al traffico 
Per qualcuno come il sottoscritto che ha una parte della famiglia originaria di Terragnòlo, camminare lungo questi sentieri ha significato rivisitare i racconti e i ricordi di mio padre e di mio nonno, nati in questa valle. I Teragnói, assieme agli abitanti della Vallarsa, i cosiddetti Valarsèri, hanno contribuito con la loro operosità allo sviluppo della città di Rovereto. Questo lavoro di restauro rappresenta un doveroso tributo della città alla storia e alla laboriosa tenacia delle Teragnóle e della loro gente


Andata

Si parte dal parcheggio del campo sportivo di Noriglio. Subito s’incontra un pannello informativo e la segnaletica del sentiero affissa sui muri a secco. Scendendo su comodo sentiero verso l'impressionante forra del torrente Leno passiamo accanto ad un prato chiamato in gergo l'Ava. Poco a sud-ovest si trovano due zone chiamate " el Paradis" e " l'Inferno"

Entrando nella forra del Leno
La prima è un bellissimo balcone naturale strapiombante sul canyon con campetti a terrazzo ora semi-invasi dalla vegetazione, la seconda, sottostante, è più selvaggia e dominata dalla verticalità della forra. Il sentiero scende agevole fino ad intercettare la strada asfaltata proveniente dal ponte di S.Colombano e ora chiusa al traffico a causa di un’importante frana
Località Cà Bianca
Dalla strada asfaltata parte un sentiero non segnalato che raggiunge il greto del torrente ma che noi non seguiremo, girando invece a sinistra sulla strada per S.Nicolò
La forra del Leno dal sentiero della Cesura   


In questa zona la valle è coperta da una vegetazione lussureggiante ed ha un aspetto assai selvaggio. Costretta tra alte pareti rocciose e una fitta boscaglia, la corrente del Leno col tempo ha creato un mutevole paesaggio fatto d’anse, spiaggette di ciottoli o sabbia fine, cascatelle, laghetti con canneti e boschetti ad alta biodiversità. Grossi tronchi e vegetali si sono accumulati caoticamente in prossimità di una barriera di filtraggio posta all'inizio del salto nel canyon alto 65 m

Il Leno


Un tempo gli abitanti della valle traevano il loro principale sostentamento proprio dalla vendita di questo legname (le bóre) che era fatto fluitare lungo il Leno sino a Rovereto dove veniva raccolto all'altezza del ponte Forbato
I "Laghetti" del Leno
Attualmente nella bella stagione la zona è frequentata dai roveretani in cerca di pace e di fresco. 
La strada asfaltata che percorriamo, non essendo più soggetta a manutenzione dopo la sua chiusura, è cosparsa di sassi di varie dimensioni caduti dalle rocce sovrastanti. Dopo circa 1 km ci imbattiamo nella strada che scende verso il ponte di S.Antonio e poi risale l'altra riva verso la frazione di Cà Bianca e Trambileno. 
Il ponte di S.Antonio
Noi andiamo dritti e seguiamo la segnaletica per S.Nicolò e Fontanelle. Fatti pochi metri, ecco apparire sul fondo della valle il ponte di S.Antonio, sul quale passa la strada che abbiamo visto prima. Nelle vicinanze è visibile una bella cappella dal tetto ottagonale dedicata a S.Antonio Abate (1728). Sul pianoro alluvionale sorgeva una volta il piccolo centro artigianale delle Fucine con un mulino, una fucina, una segheria e una fornace per coppe e mattoni che sfruttava la creta affiorante della riva sinistra del fiume

La cappella di S.Antonio
La grande alluvione del settembre 1882 danneggiò gravemente il territorio e molti campi terrazzati, frutto del duro lavoro d’intere generazioni di contadini, furono distrutti o danneggiati.
Si giunge così a S.Nicolò, paesino che all'inizio del secolo scorso contava 84 persone, una scuola pluriclasse, una piccola compagnia teatrale e un coro mentre ora conta solo qualche abitante. Vicino alla chiesa un pannello racconta la storia del villaggio e le tradizioni locali
La chiesa di S.Nicolò

Accanto ai vigneti incolti dove un tempo si produceva il groppello, un vino locale, si notano alcuni orti ben curati, segno che qualcuno vive in paese o forse, in attesa di tempi migliori, qualche abitante trasferitosi in città vi ritorna nel tempo libero a farsi l'orticello biologico. Sulla facciata di una casa un'antica iscrizione ci ricorda che S.Nicolò faceva parte del "distretto di Roveredo". 
Ora la strada comincia leggermente a salire. Dopo circa 1 km si arriva a Fontanelle, paesello di poche case ormai ridotto all'agonia. Qualcuno esce sul poggiolo per scambiare quattro chiacchiere con noi e parlarci di una fantomatica miniera d'oro sulla montagna di fronte che nessuno ha mai trovato. Sono paesi isolati e solitari anche a causa della loro geografia dove il tempo sembra essersi fermato eppure ci troviamo a soli 5 km da Rovereto. Guardando verso la montagna si scorge un vallone franoso che arriva fino al Finonchio. A metà circa si vedono alcune case, sono quelle della frazione Perini che raggiungeremo nel ritorno
S.Nicolò visto da Fontanelle
Nella valle verdissima si vedono campetti a terrazzo abbandonati e invasi dalla vegetazione, un tempo orti curatissimi che garantivano la base dell'economia di sussistenza delle famiglie. La strada asfaltata finisce qui a Fontanelle. Il sentiero continua e risale un costone boscoso e franoso dove il 
carpino, il frassino e il rovere ora lasciano più spazio al pino nero. Su questo sentiero scendevano un tempo i necrofori che portavano su lettighe i morti di Valduga e Perini destinati ad essere sepolti nel cimitero di S.Nicolò.
Il "Sas dei Morti"

Un grande masso a forma cubica (el sas dei morti o la polsaora dei morti) e a strapiombo sulla valle permetteva loro di deporre la lettiga e fare una sosta. Il luogo è segnalato da un pannello che ci informa anche del problema delle frane: di fronte, sul versante opposto della valle, se ne vede una molto grande in quella che è chiamata la Val de la Zal, la Valle dell’Acciaio, chiamata così per via di una carbonèra che produceva la carbonella per una fucina posta in riva al torrente. Ci sono molte frane in val di Terragnolo, causate dalle ghiaie alluvionali depositate sui ripidi versanti rocciosi; costituiscono un pericolo e un grave problema, basti solo pensare alla manutenzione delle strade. E' un esempio la strada per il passo della Borcola che dev'essere chiusa da autunno a primavera per via delle frequenti frane e slavine che si staccano dal monte Maggio
La "Val de la Zal"
Ho un ricordo di famiglia legato alle frane: il mio bisnonno morì a Campi, frazione posta in fondo alla valle, sotto una frana che si portò a valle metà della sua casa.  
Il terreno poco fertile, "magro" e la sua natura carsica (non esistono sorgenti e corsi d'acqua nella parte alta della valle) hanno limitato lo sviluppo dell'agricoltura che comunque, a dispetto delle avversità naturali, prese piede grazie al costante lavoro di terrazzamento e disboscamento cominciato nel corso del XIII dalle prime popolazioni cimbre. Ora, al contrario, assistiamo al fenomeno opposto con i campi che ritornano al bosco a causa dello spopolamento
Località Cesura
Dopo aver superato un tratto ripido e un po' esposto ma attrezzato con del cordino d'acciaio giungiamo in località Cesura dove sorge un caseggiato con un capitello dedicato alla Madonna del Rosario ora ridotto in condizioni pietose. Il termine "cesura" sta ad indicare in gergo la delimitazione delle proprietà con muretti a secco o siepi. I sassi per i muretti provenivano in gran parte dallo dissodamento del campo stesso
Le cesure
Tra le pietre trovano il loro habitat ideale molte piccole piante, alcune dalle proprietà medicinali, usate dalla gente per curarsi.  Poco sopra Cesura il sentiero finisce sulla SS2  che porta a Serrada o al passo della Borcola

Qui finisce il sentiero dell'andata (5,7 km da Noriglio).
Il capitello a Cesura ormai in rovina

Il ritorno

Il punto di raccordo tra i due sentieri
Si gira a sinistra e si continua sulla provinciale per qualche decina di metri. All'altezza di una fermata dell'autobus di linea (Valduga-prima), si sale per una stradina sulla destra che porta ad una casa, un tempo scuola elementare; si gira ora a sinistra e si segue il sentiero che corre dritto a fianco della strada provinciale a qualche metro di altezza. Ci troviamo ora sul sentiero delle Teragnóle che parte da Piazza di Terragnolo e arriva fino a Rovereto. La mulattiera diventa spesso semplice sentiero e segue il profilo della montagna in un panoramico saliscendi tra i boschi; di tanto in tanto appaiono piccoli campi ormai imboscati e ruderi di strette case a due piani ora in rovina  e in procinto di diventare delle case "vegetali"
Le "casote"
Sono le cosiddette "casòte", abitazioni stagionali dei contadini nei periodi in cui sostavano in zona per la coltivazione dei loro terreni. Attraversiamo qui località i cui nomi (Langhem, Conétetal, Sroatal), hanno origine in un dialetto germanico bavarese, il cimbro, usato dalla popolazione della valle fino alla prima metà del 700 e tuttora parlato sull’altopiano di Lavarone. Questa lingua, chiamata "slambrot", contribuì, insieme alle difficoltà viarie, a tenere isolata culturalmente la popolazione della valle per lungo tempo. All'altezza dell'incrocio con il sentiero per Sérrada si trovano i ruderi di un'antica osteria, l'osteria del Nazio, contrazione di Ignazio, il nome dell'oste, dove i viandanti si fermavano nel loro cammino verso Valduga Sérrada  per bere uno o due bicchieri di vino (seibel)
L'osteria del Nazio
Su questo sentiero, all'alba,  facendosi luce con un lumino ad olio, transitavano anche le donne dei paesi di Terragnòlo dirette a Rovereto. Passavano in fila indiana vestite di scuro e  con scarpe di pezza con una zèrla (bilancere) sulle spalle che davanti sosteneva il raminel 
(recipiente in rame stagnato) del latte e dietro una fascina di legna a fare da contrappeso. Erano figure di un mondo rurale antico che sopravvissero fino alla metà del secolo scorso convivendo con un mondo cittadino sempre più complesso e consumistico. I loro prodotti erano freschi e genuini, sicuramente bio! Il luogo di vendita era il Campiello del Trivio a Rovereto. Poi nel pomeriggio, riprendevano la via del ritorno
Località Valgrande con il tracciato del sentiero
Più avanti si passa davanti ad un capitello purtroppo privo di affresco, dedicato a Santa Libera. Non esiste una santa portante un tale nome, probabilmente si tratta di una contrazione di S.Liberata. In località Valgrande, alla quale si giunge dopo aver perso un po' quota e percorso un tratto su strada provinciale, il sentiero gira a destra e ricomincia di nuovo a salire. In mezzo al bosco appaiono i ruderi di una calchèra, usata per produzione della calce per uso edilizio al tempo in cui non c'era ancora il cemento. Le calchère erano costruite spesso in occasione della costruzione di una casa e necessitavano di una grande quantità di legna per poter raggiungere e mantenere per giorni la temperatura di 900° necessaria perché i sassi ricchi in calcare si trasformassero in calce. Diventava calce viva con l'aggiunta di acqua ed era il legante della malta
Perini
Arriviamo presto a scorgere un paesino isolato e aggrappato alla montagna, è la frazione di Perini dove all'inizio troviamo una bella e storica riserva d'acqua usata per gli orti. Il livello è molto basso perché l'inverno è stato molto povero di precipitazioni
Questo paesino di pochi abitanti ha in verità sempre avuto il problema dell'acqua, poi risolto con un collegamento con l'acquedotto di Scottini. L'abbaiare di alcuni cani ci dice che è ancora abitato. Lasciando Perini  il sentiero scende per un tratto su strada asfaltata per poi imboscarsi nuovamente e arrivare ad un bel punto panoramico sulla valle, a strapiombo sul paese di S.Nicolò.
Dappertutto lungo il percorso si notano i lavori di imbracatura della roccia per prevenire frane e smottamenti, un lavoro che non ha mai fine da queste parti. Segue un tratto in risalita in un bosco di pini neri, gli alberi preferiti dalle simpatiche processionarie

Se si va con il cane in primavera in questo tratto è meglio legarlo per evitargli dolorosi incontri. Si giunge in vista dell'agritur Masi Brenta, attorniato da  magnifici terrazzamenti  coltivati a vigneto.
All'esterno vi è una centenaria macina che serviva a macinare il "formentom" (grano saraceno) e all'interno vi è un piccolo museo degli attrezzi agricoli
Masi Brenta
Ancora un breve tratto di sentiero e si ritorna nei dintorni di Noriglio, precisamente in località Caròte (case rotte?), da dove partiva l'antico tracciato del sentiero della Cesura.

Da qui al parcheggio è solo questione di pochi minuti. (5 km circa per il ritorno)





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