La valle di Terragnolo
La valle di Terragnòlo è
situata nel Trentino meridionale, a nord-est di Rovereto,
tra il Pasubio ed i monti Finonchio e Maggio.
La SS2 la collega a Rovereto e
a Serrada-Folgaria mentre il passo della Borcola a Posina e
alla pianura veneta. I 33 piccoli nuclei abitativi del comune
di Terragnòlo (716 abitanti nel 2015) si trovano quasi tutti sulla
destra del torrente Leno, perché più soleggiata e più adatta alle
coltivazioni nei campi terrazzati, mentre il versante sinistro è selvaggio,
ombroso, più soggetto a frane e poco abitato
Il sentiero della Cesura
Un'importante "strada vecia" per
l'accesso alla valle era costituita da una mulattiera che da Rovereto portava
a Noriglio e da lì scendeva, attraversando la stretta e
franosa forra del torrente Leno, ai paesi di S. Nicolò e Fontanelle per
poi risalire verso località Cesura e attraversare tutta
valle (21 km) fino a giungere al passo della Borcola
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Pannello informativo |
Questo antico percorso è stato
recentemente ripristinato e prende il nome di sentiero della Cesura (da
Noriglio a località Cesura). A causa di inagibilità per frane si è dovuto
modificare il tratto tra località Caròte di Noriglio e la forra
del Leno senza però nulla togliere alla bellezza del cammino. Il sentiero
della Cesura rappresenta l'andata della nostra escursione.
Il sentiero delle Teragnóle
Il sentiero di ritorno ci riporta
nuovamente al passato. Correva l'anno 1701 quando il principe Eugenio di
Savoia, durante la guerra di successione spagnola, per necessità legate alla
guerra, decise di allargare e in parte ricostruire una già esistente carrabile
che attraversava a mezza costa la valle
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Il sito dedicato |
La carrabile fu chiamata con vari
termini, "strada
comune", "del principe Eugenio", "strada
vecia dei Teragnói" e restò fino al 1909 (anno dell'inaugurazione
dell'attuale strada provinciale) la sterrata che le donne di Terragnòlo
(provenienti soprattutto dalle frazioni Scottini, Dieneri e Potrich)
percorrevano a piedi quasi quotidianamente per portare i
prodotti della loro terra, legna, patate,
funghi, ciliegie, uova, piccoli frutti, fiori e soprattutto latte, fino
a Rovereto, dove erano venduti.
Recentemente il tracciato è stato
ripristinato grazie all'aiuto di volontari, associazioni locali ed enti
pubblici. Le informazioni del giro sono tratte dall'ottimo sito dedicato all'affascinante
storia di questa strada e dai pannelli informativi lungo il percorso ai quali
rimando per gli approfondimenti (il testo dei pannelli si
ritrova nel sito in formato PDF)
Il percorso
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La segnaletica |
Nel percorso fatto da noi abbiamo raccordato il sentiero della
Cesura con
una parte del sentiero delle Teragnóle, disegnando un
anello che parte e arriva a Noriglio,
località posta all'inizio della Val di Terragnòlo. E' un sentiero facile adatto a tutte le scarpe e
molto godibile per gli aspetti naturalistici e storici grazie anche alla presenza di numerosi pannelli informativi (4
per la Cesura, 6 per quello delle Teragnóle che in più possiede 17 punti dotati
di QR code per la connessione ad internet). Qualche punto esposto ma attrezzato nella parte alta del sentiero della Cesura invita
alla prudenza. Se per quest'ultimo non vi sono problemi di orientamento, la segnaletica del sentiero delle
Teragnóle, rappresentata da piccole targhette rosse, è per ora lacunosa o assente, ma è difficile perdersi. Lungo il percorso incontreremo diverse fontane e punti d'acqua
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La strada per S.Nicolò attualmente chiusa al traffico |
Per qualcuno come il sottoscritto che ha
una parte della famiglia originaria di Terragnòlo, camminare lungo questi
sentieri ha significato rivisitare i racconti e i ricordi di mio padre e di mio
nonno, nati in questa valle. I Teragnói, assieme agli abitanti della Vallarsa, i cosiddetti Valarsèri, hanno contribuito con la loro operosità allo sviluppo
della città di Rovereto. Questo lavoro di restauro rappresenta un doveroso
tributo della città alla storia e alla laboriosa tenacia delle Teragnóle e
della loro gente
Andata
Si parte dal parcheggio del campo sportivo
di Noriglio. Subito s’incontra un pannello informativo e la segnaletica del
sentiero affissa sui muri a secco. Scendendo su comodo sentiero verso l'impressionante forra del
torrente Leno passiamo accanto ad un prato chiamato in gergo l'Ava.
Poco a sud-ovest si trovano due zone chiamate " el Paradis" e
" l'Inferno"
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Entrando nella forra del Leno |
La prima è un bellissimo balcone naturale
strapiombante sul canyon con campetti a terrazzo ora semi-invasi dalla
vegetazione, la seconda, sottostante, è più selvaggia e dominata dalla verticalità della
forra. Il sentiero scende agevole fino ad intercettare la strada asfaltata
proveniente dal ponte di S.Colombano e ora chiusa al traffico a causa di
un’importante frana
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Località Cà Bianca |
Dalla strada asfaltata parte un sentiero non segnalato che
raggiunge il greto del torrente ma che noi non seguiremo, girando invece a sinistra sulla strada per S.Nicolò
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La forra del Leno dal sentiero della Cesura
In questa zona la valle è coperta da una vegetazione lussureggiante ed ha un aspetto assai selvaggio. Costretta tra alte pareti rocciose e una fitta boscaglia, la
corrente del Leno col tempo ha creato un mutevole paesaggio fatto d’anse,
spiaggette di ciottoli o sabbia fine, cascatelle, laghetti con canneti e
boschetti ad alta biodiversità. Grossi tronchi e vegetali si sono accumulati caoticamente in prossimità di una barriera di filtraggio posta all'inizio del salto nel canyon alto 65 m
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Il Leno |
Un tempo gli abitanti della valle
traevano il loro principale sostentamento proprio dalla vendita di questo
legname (le bóre) che era fatto
fluitare lungo il Leno sino a Rovereto dove veniva raccolto all'altezza del
ponte Forbato
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I "Laghetti" del Leno |
Attualmente nella bella stagione la zona è frequentata dai roveretani in cerca di pace e di fresco.
La strada asfaltata che percorriamo, non essendo più soggetta a manutenzione dopo la sua chiusura, è cosparsa di sassi di varie dimensioni caduti dalle rocce sovrastanti. Dopo circa 1 km ci imbattiamo nella strada che scende verso il ponte di S.Antonio e poi risale l'altra riva verso la frazione di Cà Bianca e Trambileno.
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Il ponte di S.Antonio |
Noi andiamo dritti e
seguiamo la segnaletica per S.Nicolò e Fontanelle. Fatti pochi metri, ecco
apparire sul fondo della valle il ponte di S.Antonio, sul quale passa la strada
che abbiamo visto prima. Nelle vicinanze è visibile una bella cappella dal
tetto ottagonale dedicata a S.Antonio Abate (1728). Sul pianoro alluvionale
sorgeva una volta il piccolo centro artigianale delle Fucine con un mulino, una fucina, una segheria e una
fornace per coppe e mattoni che sfruttava la creta affiorante della riva
sinistra del fiume
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La cappella di S.Antonio |
La grande alluvione del settembre 1882 danneggiò gravemente
il territorio e molti campi terrazzati, frutto del duro lavoro d’intere generazioni
di contadini, furono distrutti o danneggiati.
Si giunge così a S.Nicolò, paesino che all'inizio del secolo scorso contava 84
persone, una scuola pluriclasse, una piccola compagnia teatrale e un coro
mentre ora conta solo qualche abitante. Vicino alla chiesa un
pannello racconta la storia del villaggio e le tradizioni locali
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La chiesa di S.Nicolò |
Accanto ai vigneti incolti dove un tempo si produceva il groppello, un vino
locale, si notano alcuni orti ben curati, segno che qualcuno vive in paese o forse, in attesa di tempi migliori, qualche abitante trasferitosi in città vi ritorna nel tempo libero a farsi l'orticello biologico. Sulla facciata di una casa un'antica iscrizione ci ricorda che S.Nicolò faceva parte del "distretto di Roveredo".
Ora la strada comincia leggermente a
salire. Dopo circa 1 km si arriva a Fontanelle, paesello di poche case
ormai ridotto all'agonia. Qualcuno esce sul poggiolo per scambiare quattro chiacchiere con noi e parlarci di una fantomatica miniera d'oro sulla montagna di fronte che nessuno ha mai trovato. Sono paesi isolati e solitari anche a causa della loro geografia dove il tempo sembra essersi fermato eppure ci troviamo a soli 5 km da Rovereto. Guardando verso la montagna si scorge un
vallone franoso che arriva fino al Finonchio. A metà circa si vedono alcune
case, sono quelle della frazione Perini che raggiungeremo nel ritorno
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S.Nicolò visto da Fontanelle |
Nella valle verdissima si vedono campetti a terrazzo abbandonati e invasi dalla vegetazione,
un tempo orti curatissimi che garantivano la base dell'economia di sussistenza
delle famiglie. La strada asfaltata finisce qui a Fontanelle. Il sentiero
continua e risale un costone boscoso e franoso dove il carpino, il frassino e il rovere ora lasciano più spazio al pino nero. Su questo sentiero
scendevano un tempo i necrofori che portavano su lettighe i morti di Valduga e Perini destinati ad essere sepolti nel cimitero di S.Nicolò.
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Il "Sas dei Morti" |
Un grande masso a forma cubica (el sas dei morti o la
polsaora dei morti) e a strapiombo sulla valle permetteva loro di deporre la lettiga e fare una sosta. Il luogo è segnalato da
un pannello che ci informa anche del problema delle frane: di fronte, sul versante opposto della valle, se ne vede una molto grande in quella che è chiamata la Val de la Zal, la Valle dell’Acciaio,
chiamata così per via di una carbonèra
che produceva la carbonella per una fucina posta in riva al torrente. Ci sono
molte frane in val di Terragnolo, causate dalle ghiaie alluvionali depositate sui
ripidi versanti rocciosi; costituiscono un pericolo e un grave problema, basti solo pensare alla manutenzione delle strade. E' un esempio la strada per il passo della Borcola che dev'essere chiusa da autunno a primavera per via delle frequenti frane
e slavine che si staccano dal monte Maggio
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La "Val de la Zal" |
Ho un ricordo di famiglia legato alle frane: il mio
bisnonno morì a Campi, frazione posta in fondo alla valle, sotto una
frana che si portò a valle metà della sua casa.
Il terreno poco
fertile, "magro" e la sua
natura carsica (non esistono sorgenti e corsi d'acqua nella parte alta della
valle) hanno limitato lo sviluppo dell'agricoltura che comunque, a dispetto delle
avversità naturali, prese piede grazie al costante lavoro di terrazzamento e
disboscamento cominciato nel corso del XIII dalle prime popolazioni cimbre. Ora, al contrario, assistiamo al fenomeno opposto con i campi che ritornano al bosco a causa dello spopolamento
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Località Cesura |
Dopo aver superato un tratto ripido e un po' esposto ma attrezzato con del cordino d'acciaio giungiamo in località Cesura dove
sorge un caseggiato con un capitello dedicato alla Madonna del Rosario ora ridotto in condizioni pietose. Il termine "cesura" sta ad indicare in gergo la
delimitazione delle proprietà con muretti a secco o siepi. I sassi per i
muretti provenivano in gran parte dallo dissodamento del campo stesso
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Le cesure |
Tra le
pietre trovano il loro habitat ideale
molte piccole piante, alcune dalle proprietà medicinali, usate dalla gente per
curarsi. Poco sopra Cesura il sentiero finisce sulla SS2 che porta a Serrada o al passo della Borcola.
Qui finisce il sentiero dell'andata (5,7 km da Noriglio).
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Il capitello a Cesura ormai in rovina |
Il ritorno
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Il punto di raccordo tra i due sentieri |
Si gira a sinistra e si continua sulla
provinciale per qualche decina di metri. All'altezza di una fermata
dell'autobus di linea (Valduga-prima), si sale per una stradina sulla destra che
porta ad una casa, un tempo scuola elementare; si gira ora a sinistra e si
segue il sentiero che corre dritto a fianco della strada provinciale a qualche metro
di altezza. Ci troviamo ora sul sentiero
delle Teragnóle che parte da Piazza di Terragnolo e arriva fino a Rovereto. La mulattiera diventa spesso semplice sentiero e segue il profilo della montagna in un panoramico saliscendi tra i boschi; di tanto in tanto appaiono piccoli campi ormai
imboscati e ruderi di strette case a due piani ora in rovina e in procinto di diventare delle case "vegetali"
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Le "casote" |
Sono le cosiddette "casòte", abitazioni stagionali dei contadini nei periodi in cui sostavano in zona per
la coltivazione dei loro terreni. Attraversiamo qui località i cui nomi (Langhem,
Conétetal, Sroatal), hanno origine in un dialetto germanico bavarese, il
cimbro, usato dalla popolazione della valle fino alla prima metà del 700 e
tuttora parlato sull’altopiano di Lavarone. Questa lingua, chiamata "slambrot", contribuì, insieme alle difficoltà viarie, a tenere isolata culturalmente
la popolazione della valle per lungo tempo. All'altezza dell'incrocio con il sentiero per Sérrada si trovano i ruderi di un'antica osteria, l'osteria del Nazio, contrazione
di Ignazio, il nome dell'oste, dove i viandanti si fermavano nel loro cammino
verso Valduga o Sérrada per bere uno o due bicchieri di vino (seibel)
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L'osteria del Nazio |
Su questo sentiero, all'alba, facendosi luce con
un lumino ad olio, transitavano anche le donne dei paesi di Terragnòlo
dirette a Rovereto. Passavano in fila indiana vestite di scuro e con scarpe di pezza con
una zèrla (bilancere) sulle spalle che davanti sosteneva il raminel (recipiente in rame stagnato) del latte e dietro una fascina di legna a fare da contrappeso. Erano figure di un mondo rurale antico che sopravvissero fino alla metà del secolo scorso convivendo con un mondo cittadino sempre più complesso e consumistico. I loro prodotti erano freschi e genuini, sicuramente bio! Il luogo di vendita era il Campiello del Trivio a Rovereto. Poi nel pomeriggio, riprendevano la via del ritorno
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Località Valgrande con il tracciato del sentiero |
Più avanti si passa davanti ad un capitello purtroppo privo di affresco, dedicato a Santa Libera. Non esiste una santa portante un tale nome, probabilmente si tratta di una contrazione di S.Liberata. In località Valgrande, alla quale si giunge dopo aver perso un po' quota e percorso un tratto su strada provinciale, il sentiero gira a destra e ricomincia di nuovo a salire. In mezzo al bosco appaiono i ruderi di una calchèra, usata per produzione della calce per uso edilizio al tempo in cui non c'era ancora il cemento. Le calchère erano costruite spesso in occasione della costruzione di una casa e necessitavano di una grande quantità di legna per poter raggiungere e mantenere per giorni la temperatura di 900° necessaria perché i sassi ricchi in calcare si trasformassero in calce. Diventava calce viva con l'aggiunta di acqua ed era il legante della malta
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Perini |
Arriviamo presto a scorgere un paesino isolato e aggrappato alla montagna, è la frazione di Perini dove all'inizio troviamo una bella e storica riserva d'acqua usata per gli orti. Il livello è
molto basso perché l'inverno è stato molto povero di precipitazioni
Questo
paesino di pochi abitanti ha in verità sempre avuto il problema dell'acqua, poi
risolto con un collegamento con l'acquedotto di Scottini. L'abbaiare di alcuni cani ci dice che è ancora abitato. Lasciando
Perini il sentiero scende per un tratto su strada asfaltata per poi imboscarsi nuovamente e arrivare ad un
bel punto panoramico sulla valle, a strapiombo sul paese di S.Nicolò.
Dappertutto lungo il percorso si notano i lavori di imbracatura della roccia
per prevenire frane e smottamenti, un lavoro che non ha mai fine da queste parti. Segue un tratto in risalita in un bosco di pini neri,
gli alberi preferiti dalle simpatiche processionarie
Se si va con il cane in primavera in questo tratto è meglio legarlo per evitargli dolorosi incontri. Si giunge in vista dell'agritur Masi Brenta, attorniato da magnifici terrazzamenti coltivati a vigneto.
All'esterno vi è una centenaria macina che serviva a macinare il
"formentom" (grano saraceno) e all'interno vi è un piccolo
museo degli attrezzi agricoli
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Masi Brenta |
Ancora un breve tratto di sentiero e si ritorna nei dintorni di Noriglio, precisamente in località Caròte (case rotte?), da dove partiva
l'antico tracciato del sentiero della Cesura.
Da qui al parcheggio è solo questione di
pochi minuti. (5 km circa per il ritorno)
Grazie molto interessante.
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