Poco dopo ecco un primo scorcio di Rovereto con il campanile della chiesa di S.Marco
Una lapide ricorda la costruzione dell'acquedotto cittadino (anno1845) che da quasi due secoli rifornisce Rovereto di un'ottima acqua potabile proveniente dalle sorgenti di Spino, del Molino e dell'Orco situate in Vallarsa, poco a monte della confluenza con la val Terragnolo
Arriviamo al Fontanon o Pietra Focaia, un grande serbatoio di 1000 metri cubi d'acqua costruito tra il 1898 e 1899 per migliorare la rete idrica cittadina. L'acqua è quella, eccellente, della sorgente di Spino. Da qui in su inizia via Acquedotto con un tratto di 200 m. abbastanza ripido ma è il solo di tutto il giro
Via Acquedotto coincide con l'ultimo tratto del sentiero delle Teragnole percorso un tempo dalle donne dei paesini della val Terragnolo per scendere in città e vendere i loro prodotti (latte, patate, funghi, frutta, legna ecc.). Una parte del sentiero è descritta in questo post
Per urgenti necessità militari la stradina che univa la val Terragnolo a Rovereto fu rifatta e allargata all'inizio del '700. La strada venne poi chiamata anche strada vecia dei teragnoi in contrapposizione a quella costruita agli inizi del 900, l'attuale provinciale SP2
Un primo scorcio sulla città e il torrente Leno. Sono visibili un torrione del castello e il campanile della chiesa di S.Maria del Carmine. La forza idraulica delle acque del Leno è stata il motore del primo sviluppo industriale della città basato sull'industria della seta
La strada vecia è tuttora frequentata dagli abitanti di Noriglio, dai runners, dai ciclisti e da coloro che vogliono fare una piacevole passeggiata fuori porta
Un'altra importante attività iniziata già nel '700 fu l'industria cartaria, che lungo il percorso del Leno trovò la sua naturale collocazione. L'edificio giallo in basso è l'ex cartiera ATI, ora sede degli uffici tecnici del Comune di Rovereto
Ancor oggi sotto l'orologio dell'ex cartiera è possibile leggere il motto: "Torna il sole ma non il tempo" voluto da Luigi Jacob, un imprenditore audace e innovativo che diede un grande impulso all'industria cartaria promuovendo lavoro e occupazione
Un antico mulino presente in valle da quasi 200 anni e visibile al centro della foto è diventato oggi un premiato oleificio (Oleificio F. Costa )
All'altezza dell'antico confine tra il territorio di Rovereto e quello di Noriglio posta a terra c'è una croce. In caso di epidemie indicava il punto dove veniva barrata la strada
Antichi cippi
Storico territorio dei Castelbarco e fino al 1927 comune italiano, Noriglio oggi è un sobborgo di Rovereto che, per la vicinanza al centro e la posizione soleggiata negli ultimi anni è diventato un quartiere residenziale della città. Evitiamo di entrare in paese prendendo una rampa sulla sinistra che ci porta all'altezza della provinciale e una volta attraversata risaliamo via Campolongo, situata in una delle più antiche contrade di Noriglio
Noriglio. L'origine del toponimo sembra derivare dal latino os–oris (imboccatura) da cui discendono i termini dialettali orél, lorél (imbuto), con evidente riferimento alla posizione geografica del paese posto sui bordi digradanti della forra del Leno
Una simpatica segnaletica fai da te
Lasciamo frazione Campolongo entrando in una valletta chiamata delle Klame (del cimbro klamme: burrone, forra, valle stretta) che separa il monte Ghello dal dosso di Merespitz visibile in alto nella foto. La valletta porta ad una sella occupata dal villaggio di Zaffoni. Sulla sinistra guardando in alto si notano delle balze rocciose diventate oggi una palestra di roccia e tra esse un lungo ripiano che ospita dei campetti abbandonati (fra zengi)
Il bel sentiero permette di evitare il tratto di strada asfaltata che collega Noriglio a Zaffoni. Attraversando zone di bosco e campetti incespugliati giunge al parco giochi di Zaffoni (Abitalbero) posto all'entrata del paese
Zaffoni è una frazione di Rovereto, nota già nel medioevo come Mansum (maso) Zaffoni de Saltaria. Sembra che il termine derivi da zaffo, guardia. Dalla sua piazzetta centrale, la croseta, si dipartono ben 6 strade
Un recente affresco ricorda un concorso canoro di uccellini svoltosi nel villaggio. La zona del monte Ghello era un tempo luogo ideale per l'uccellagione soprattutto di uccelli migratori, usanza oggi severamente proibita ma molto praticata nel passato con l'uso di svariate tecniche di cattura come roccoli, reti, capanni fissi, panie di vischio, richiami vivi
Giunti quasi alla fine del paese giriamo a sinistra seguendo l'indicazione Monteghello. La stradina conduce in località le ulbe, termine derivante dal cimbro hulbe (acquitrino, acqua stagnante) a segnalare la presenza di cisterne, pozzi e vasche usate per la preparazione de verderame. In questa zona, a causa della carsicità del terreno, l'acqua per l'irrigazione dei campi era un bene prezioso da non disperdere
Poco lontano da Zaffoni sorge il paese di Saltaria. Il toponimo deriva da saltarius che indicava il guardiano dei boschi e dei prati pagato dalla comunità per difendere il territorio dagli sconfinamenti, le incursioni e i furti. La frazione è dunque nata intorno al maso di un saltaro
Il monte Ghello conserva molte tracce di una secolare attività agricola. Lungo il sentiero si notano i ricoveri per gli attrezzi agricoli, i ripari per i cavatori di pietre, i muretti a secco, i pozzi coperti da cupolette di pietra per evitare che l'acqua si sporchi, le vasche per la raccolta dell’acqua, i cippi di confine e molti capitelli
Una galleria risalente alla prima guerra mondiale e costruita dagli austriaci porta ad una postazione di pezzi di artiglieria in caverna. Vi sono anche camminamenti trincerati e posti di osservazione. Il loro obiettivo era il controllo dell'accesso delle valli di Terragnolo, Vallarsa e Val Lagarina
In località le laite i campi terrazzati coltivati a vigneto dominano il paesaggio. Al contrario, nel passato era molto diffusa la coltura dei cereali quali il frumento, l'orzo, l'avena, la segale, il sorgo, il mais, il grano saraceno nonché numerose colture orticole come la patata, il cavolo e le fave. Parte del monte Ghello è "sito di interesse comunitario" (S.I.C.), un'area naturale protetta, oltre che per il passaggio di uccelli migratori anche per la ricchezza della sua flora, una delle più ricche di tutto il Trentino. Tra le numerosissime specie si annoverano le orchidee
Giungiamo sulla parte sommitale caratterizzata dall'affioramento di lastre rocciose (calcari grigi di Noriglio) e pascoli magri sopra i quali si erge una grande croce in pietra
La croce, a quota m. 515, originariamente in legno, fu eretta nel 1903 a ricordo di una straordinaria uccellagione e ricostruita in pietra nel 1941. A partire da quell'anno il dosso ospitò anche un osservatorio della contraerea tedesca, poi trasferito a Toldi
La zona nei pressi della croce è chiamata le preère per via della presenza di cave ora dismesse di pietra da costruzione (il biancone) utilizzata in molti manufatti dell'arredo urbano di Rovereto (lastre per coperture, pavimentazioni, scale, fontane, poggioli, lapidi ecc.). Sullo sfondo nela foschia il monte Zugna
Rovereto e la val Lagarina dal monte Ghello. Sullo sfondo il monte Altissimo di Nago (a sinistra) e il monte Biaena (al centro). L'origine del nome Ghello è controversa: potrebbe derivare dal termine cimbro gelle che significa nudo, in riferimento alla sua parte sommitale (nel medioevo era chiamato Mons Calvus o Calvarius) o semplicemente dal fatto che si tratta di un piccolo monte, montesel in dialetto. Sulla sommità gli unici alberi sono i pini neri; introdotti nel passato come specie pioniera ora sono purtroppo infestati dai nidi delle processionarie
Il monte Ghello è sempre stato legato alla storia di Rovereto: per le sue cave di pietra, per la difesa della città durante i conflitti, ospitando anche gli sfollati dalla città e come luogo di svago, di villeggiatura e di caccia
E' anche un luogo ideale per un semplice pic-nic fuori porta
Seguendo le indicazioni ci dirigiamo verso la frazione di Toldi e percorriamo per un breve tratto la strada asfaltata che scende a Rovereto. Anche il lungo dosso orientato a sud della Vallunga è vocato alla coltivazione della vite. Durante la seconda guerra mondiale era attiva una postazione della contraerea tedesca in comunicazione con l'osservatorio situato sul monte Ghello
Ad una curva lasciamo la strada del monte Pipel per seguire una delle due scorciatoie che permettono di tagliare diversi tornanti
Arriviamo a questo incrocio dove si trova il Bed & Breakfast Monte Pipel e continuiamo tagliando per una stradina che collega via Vallunga I con via Vallunga II. La strada sulla sinistra porta al Bosco della Città, quella stretta in ombra e di fronte è una delle due scorciatoie che tagliano la strada del monte Pipel
La stradina di collegamento tra Vallunga I e Vallunga II
Questa croce con la scritta "In hoc signo vinces" si trova alla fine della stradina di collegamento, visibile sulla destra. Da qui si scende su via Vallunga II, una bellissima e antica stradina delimitata da alti muri in pietra
Via Vallunga II
Una bella facciata con un decoro originale che ricorda un alveare
Arriviamo ad un incrocio dove è situata l'entrata dell'Istituto Alberghiero, fino al 1921 sede di un pellagrosario . Nella seconda metà dell'800 la pellagra faceva molte vittime in città e nelle valli. La causa ere una squilibrata alimentazione delle popolazioni più povere, basata quasi esclusivamente sul consumo del mais (la polenta). Lasciamo l'incrocio e scendiamo in città lungo Salita Valbuson, visibile sulla destra
Anche Salita Valbuson è delimitata da alti muri in pietra. I sassi di questi muri provenivano spesso dal lavoro di dissodamento dei campi e degli orti
Salita Valbuson termina all'incrocio con via Balteri
La fontana situata all'incrocio di via Balteri. Noi prendiamo via Delle Fosse a sinistra
Giunti in vista di questa chiesetta lasciamo via delle Fosse che gira a sinistra e seguiamo la stretta stradina sulla destra, via Valbusa Piccola, ricordo del legame che univa il castello con il sottostante borgo medievale
Via Valbusa Piccola sbuca in via Rialto, una delle più antiche vie del centro storico cittadino che nel nome ricorda la dominazione veneziana di Rovereto (1416-1509)
Giriamo a sinistra e passiamo sotto Porta S.Marco, antico ingresso della città al tempo del dominio veneziano (1483) sul quale campeggia l'affresco del leone di S.Marco
Il 26 dicembre 1769 l'allora tredicenne Mozart, nel suo primo viaggio in Italia, volle provare il suo organo mandando in visibilio i suoi numerosissimi ammiratori
Passiamo sotto la Torre Civica e continuiamo in via della Terra
In Via della Terra, la più antica e nobile via di Rovereto, si possono ammirare alcuni dei più importanti palazzi storici della città. La strada collega Palazzo Pretorio in piazza Podestà con la Chiesa di S.Marco. Una scritta ricorda che la strada era amata dal filosofo Antonio Rosmini che qui era solito passeggiare meditando. Le lapidi sulle facciate delle case ricordano che qui hanno vissuto musicisti, scienziati, archeologi e filosofi che hanno dato lustro alla città
Via della Terra. Sullo sfondo la Torre Civica o Torre dell'Orologio che segna il lato nord della cinta muraria costruita dai Castelbarco a protezione del primo nucleo della città
La cinquecentesca Torre Civica oltre all'orologio ospita una potente sirena che suona a mezzogiorno
Sulla sinistra l'ex casa Vannetti, una delle prime sedi dell'Accademia degli Agiati, istituzione culturale nata a Rovereto nel 1750 con lo scopo di promuovere la cultura e le scienze
Scendendo verso piazza Podestà sulla sinistra ritroviamo via Castelbarco con la salita all'ingresso del castello. Qui finirebbe il nostro giro ma noi proseguiamo fino a piazza Podestà per cogliere qualche altro interessante scorcio di Rovereto
Piazza Podestà e il castello
Nella piazza è stato collocato questo mortaio 305/10 Skoda di fabbricazione austriaca
Il ponte Forbato unisce l'originario nucleo urbano sorto sotto il castello con l'operoso e popolare rione San Tomaso poi diventato S.Maria. Nel 1856 fu costruita questa cascata (el Zambel) per rallentare il flusso delle acque del torrente Leno. Il caseggiato è un antico filatoio. Nel settecento in città se ne contavano 30, dediti alla lavorazione della seta e distribuiti lungo le tre rogge (Roza Grande, Piccola e Pajari) che partivano da qui
La casa dei Turchi. I balconi traforati in legno permettevano alle lavoratrici di vedere senza essere viste
Il ponte Forbato e il castello. Qui era sistemata una grande ruota di legno che sollevava l'acqua del Leno facendola così confluire nelle rogge cittadine
Il ponte Forbato
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