Giro del Monte Ghello


Lunghezza: 6,9 Km
Dislivello: 340 m.
Tempo in movimento: 2h15
Altitudine max: 521
Difficoltà: facile

Il giro del Monte Ghello (Monteghel) è il classico giro fuori porta dei Roveretani, facile e meritevole per molti aspetti. Il monte è una modesta elevazione (525 m.) situata a nord est della città. Dalla sua sommità verso sud si domina la città e la Val Lagarina fino a Mori e verso nord lo sguardo può arrivare sin alle porte di Trento. Il percorso parte dal castello di Rovereto e su una antica stradina raggiunge prima Noriglio e poi il villaggio di Zaffoni. Si continua su un sentiero tra vigneti e campi abbandonati lungo il quale si possono notare opere belliche risalenti al primo conflitto mondiale fino a raggiungere la  nuda sommità del monte dove campeggia una grande croce in pietra. Da lì si scende in direzione della frazione di Toldi e seguendo la strada del monte Pipel con alcune scorciatoie si giunge nella soleggiata conca di Vallunga. Scendendo per un'altra antica stradina si arriva nel cuore del centro storico di Rovereto e passando per Via della Terra al punto di partenza 

Come arrivare: una volta giunti a Rovereto seguire le indicazioni per il Castello e Museo della guerra. L'inizio del sentiero parte dietro il castello, in via Castelbarco

In via Castelbarco è situata anche la vecchia entrata del Museo Storico della Guerra, uno dei più importanti in Italia; è ospitato nel castello di Roveretotestimonianza della dominazione veneziana della città (1416-1509)

La breve salita conduce in via delle Fosse dove è visibile una parte della prima cinta muraria eretta dai Castelbarco, la nobile famiglia che costruì il primo nucleo del castello e il borgo medievale

L'attuale entrata del Museo della Guerra in via delle Fosse

Il pannello illustrativo del giro del Monte Ghello

Iniziamo il percorso continuando lungo la stretta via Castelbarco


Via Castelbarco sale 
tra due alti muri

Poco dopo ecco un primo scorcio di Rovereto con il campanile della chiesa di S.Marco

Una lapide ricorda la costruzione dell'acquedotto cittadino (anno1845) che da quasi due secoli rifornisce Rovereto di un'ottima acqua potabile proveniente dalle sorgenti di Spino, del Molino e dell'Orco situate in Vallarsa, poco a monte della confluenza con la val Terragnolo

Arriviamo al Fontanon o Pietra Focaia, un grande serbatoio di 1000 metri cubi d'acqua costruito tra il 1898 e 1899 per migliorare la rete idrica cittadina. L'acqua è quella, eccellente, della sorgente di Spino. Da qui in su inizia via Acquedotto con un tratto di 200 m. abbastanza ripido ma è il solo di tutto il giro

Via Acquedotto coincide con l'ultimo tratto del sentiero delle Teragnole percorso un tempo dalle donne dei paesini della val Terragnolo per scendere in città e vendere i loro prodotti (latte, patate, funghi, frutta, legna ecc.). Una parte del sentiero è descritta in questo post 

Per  urgenti necessità militari  la stradina che univa la val Terragnolo a Rovereto fu rifatta e allargata all'inizio del '700. La strada venne poi chiamata anche strada vecia dei teragnoi in contrapposizione a quella costruita agli inizi del 900, l'attuale provinciale SP2

Un primo scorcio sulla città e il torrente Leno. Sono visibili un torrione del castello e il campanile della chiesa di S.Maria del Carmine. La forza idraulica delle acque del Leno è stata il motore del primo sviluppo industriale della città basato sull'industria della seta

La strada vecia è tuttora frequentata dagli abitanti di Noriglio, dai runners, dai ciclisti e da coloro che vogliono fare una piacevole passeggiata fuori porta 

Un'altra importante attività iniziata già nel '700 fu l'industria cartaria, che lungo il percorso del Leno trovò la sua naturale collocazione. L'edificio giallo in basso è l'ex cartiera ATI, ora sede degli uffici tecnici del Comune di Rovereto

Ancor oggi sotto l'orologio dell'ex cartiera è possibile leggere il motto: "Torna il sole ma non il tempo" voluto da Luigi Jacob,  un  imprenditore audace e innovativo che diede un grande impulso all'industria cartaria promuovendo lavoro e occupazione


Un antico mulino presente in valle da quasi 200 anni e visibile al centro della foto è diventato oggi un premiato oleificio (Oleificio F. Costa )

All'altezza dell'antico confine tra il territorio di Rovereto e quello di Noriglio posta a terra c'è una croce. In caso di epidemie indicava il punto dove veniva barrata la strada

Antichi cippi

Storico territorio dei Castelbarco e fino al 1927 comune italiano, Noriglio oggi è un sobborgo di Rovereto che, per la vicinanza al centro e la posizione soleggiata negli ultimi anni è diventato un quartiere residenziale della città. Evitiamo di entrare in paese prendendo una rampa sulla sinistra che ci porta all'altezza della provinciale e una volta attraversata risaliamo via Campolongo, situata in una delle più antiche contrade di Noriglio

Noriglio. L'origine del toponimo sembra derivare dal latino os–oris (imboccatura) da cui discendono i termini dialettali orél, lorél (imbuto), con evidente riferimento alla posizione geografica del paese posto sui bordi digradanti della forra del Leno

Una simpatica segnaletica fai da te

Lasciamo frazione Campolongo entrando in una valletta chiamata  delle Klame (del cimbro klamme: burrone, forra, valle stretta) che separa il monte Ghello dal dosso di Merespitz visibile in alto nella foto. La valletta porta ad una sella occupata dal villaggio di Zaffoni. Sulla sinistra guardando in alto si notano delle balze rocciose diventate oggi una palestra di roccia e tra esse un lungo ripiano che ospita dei campetti abbandonati (fra zengi)

Il bel sentiero permette di evitare il tratto di strada asfaltata che collega Noriglio a Zaffoni.  Attraversando zone di bosco e campetti incespugliati giunge al parco giochi di Zaffoni (Abitalbero) posto all'entrata del paese

Zaffoni è una frazione di Rovereto, nota già nel medioevo come Mansum (maso) Zaffoni de SaltariaSembra che il termine derivi da zaffo, guardia. Dalla sua piazzetta centrale, la croseta, si dipartono ben 6 strade

Un recente affresco ricorda un concorso canoro di uccellini svoltosi nel villaggio. La zona del monte Ghello era un tempo luogo ideale per l'uccellagione soprattutto di uccelli migratori, usanza oggi severamente proibita ma molto praticata nel passato con l'uso di svariate tecniche di cattura come roccoli, reti, capanni fissi, panie di vischio, richiami vivi

Giunti quasi alla fine del paese giriamo a sinistra seguendo l'indicazione Monteghello. La stradina conduce in località le ulbe, termine derivante dal cimbro hulbe (acquitrino, acqua stagnante) a segnalare la presenza di cisterne, pozzi e vasche usate per la preparazione de verderame. In questa zona, a causa della carsicità del terreno, l'acqua per l'irrigazione dei campi era un bene prezioso da non disperdere

Poco lontano da Zaffoni sorge il paese di Saltaria. Il toponimo deriva da saltarius che indicava il guardiano dei boschi e dei prati pagato dalla comunità per difendere il territorio dagli sconfinamenti, le incursioni e i furti. La frazione è dunque nata intorno al maso di un saltaro

Il monte  Ghello conserva molte tracce di una secolare attività agricola. Lungo il sentiero si notano i ricoveri per gli attrezzi agricoli, i ripari per i cavatori di pietre, i muretti a secco, i pozzi coperti da cupolette di pietra per evitare che l'acqua si sporchi, le vasche per la raccolta dell’acqua, i cippi di confine e molti capitelli 

Una galleria risalente alla prima guerra mondiale e costruita dagli austriaci porta ad una postazione di pezzi di artiglieria in caverna. Vi sono anche camminamenti trincerati e posti di osservazione. Il loro obiettivo era il controllo dell'accesso delle valli di Terragnolo, Vallarsa e Val Lagarina

Una croce in memoria degli Standschützen 

In località le laite i campi terrazzati coltivati a vigneto dominano il paesaggio. Al contrario, nel passato era molto diffusa la coltura dei cereali quali il frumento, l'orzo, l'avena, la segale, il sorgo, il mais, il grano saraceno nonché numerose colture orticole come la patata, il cavolo e le fave. Parte del monte Ghello è "sito di interesse comunitario" (S.I.C.), un'area naturale protetta, oltre che per il passaggio di uccelli migratori anche per la ricchezza della sua flora, una delle più ricche di tutto il Trentino. Tra le numerosissime specie si annoverano le orchidee

Giungiamo sulla parte sommitale caratterizzata dall'affioramento di lastre rocciose (calcari grigi di Noriglio) e pascoli magri sopra i quali si erge una grande croce in pietra

La croce, a quota m. 515, originariamente in legno, fu eretta nel 1903 a ricordo di una straordinaria uccellagione e ricostruita in pietra nel 1941. A partire da quell'anno il dosso ospitò anche un osservatorio della contraerea tedesca, poi trasferito a Toldi

La zona nei pressi della croce è chiamata le preère per via della presenza di cave ora dismesse di pietra da costruzione (il biancone) utilizzata in molti manufatti dell'arredo urbano di Rovereto (lastre per coperture, pavimentazioni, scale, fontane, poggioli, lapidi ecc.). Sullo sfondo nela foschia il monte Zugna

Rovereto e la val Lagarina dal monte Ghello. Sullo sfondo il monte Altissimo di Nago (a sinistra) e il monte Biaena (al centro). L'origine del nome Ghello è controversa: potrebbe derivare dal termine cimbro gelle che significa nudo, in riferimento alla sua parte sommitale (nel medioevo era chiamato Mons Calvus o Calvarius) o semplicemente dal fatto che si tratta di un piccolo monte, montesel in dialetto. Sulla sommità gli unici alberi sono i pini neri; introdotti nel passato come specie pioniera ora sono purtroppo infestati dai nidi delle processionarie

Il monte Ghello è sempre stato legato alla storia di Rovereto: per le sue cave di pietra, per la difesa della città durante i conflitti, ospitando anche gli sfollati dalla città e come luogo di svago, di villeggiatura e di caccia

E'  anche un luogo ideale per un semplice pic-nic fuori porta

Seguendo le indicazioni ci dirigiamo verso la frazione di Toldi e percorriamo per un breve tratto la strada asfaltata che scende a Rovereto. Anche il lungo dosso orientato a sud della Vallunga  è vocato alla coltivazione della vite. Durante la seconda guerra mondiale era attiva una postazione della contraerea tedesca  in comunicazione con l'osservatorio situato sul monte Ghello

Ad una curva lasciamo la strada del monte Pipel per seguire una delle due scorciatoie che permettono di tagliare diversi tornanti 

Arriviamo a questo incrocio dove si trova il Bed & Breakfast Monte Pipel e continuiamo tagliando per una stradina che collega via Vallunga I con via Vallunga II.  La strada sulla sinistra porta al Bosco della Città, quella stretta in ombra e di fronte è una delle due scorciatoie che tagliano la strada del monte Pipel

La stradina di collegamento tra Vallunga I e Vallunga II

Questa croce con la scritta "In hoc signo vinces" si trova alla fine della stradina di collegamento, visibile sulla destra. Da qui si scende su via Vallunga II, una bellissima e antica stradina delimitata da alti muri in pietra

Via Vallunga II

Una bella facciata con un decoro originale che ricorda un alveare


Arriviamo ad un incrocio dove è situata l'entrata dell'Istituto Alberghiero, fino al 1921 sede di un pellagrosario . Nella seconda metà dell'800 la pellagra faceva molte vittime in città e nelle valli. La causa ere una squilibrata alimentazione delle popolazioni più povere, basata quasi esclusivamente sul consumo del mais (la polenta).  Lasciamo l'incrocio e scendiamo in città lungo Salita Valbuson, visibile sulla destra

Anche Salita Valbuson è delimitata da alti muri in pietra. I sassi di questi muri provenivano spesso dal lavoro di dissodamento dei campi e degli orti

Salita Valbuson termina all'incrocio con via Balteri
La fontana situata all'incrocio di via Balteri. Noi prendiamo via Delle Fosse a sinistra

Giunti in vista di questa chiesetta lasciamo via delle Fosse che gira a sinistra e seguiamo la stretta stradina sulla destra, via Valbusa Piccola, ricordo del legame che univa il castello con il sottostante borgo medievale

Via Valbusa Piccola sbuca in via Rialto, una delle più antiche vie del centro storico cittadino che nel nome ricorda la dominazione veneziana di Rovereto (1416-1509)

Giriamo a sinistra e passiamo sotto Porta S.Marco, antico ingresso della città al tempo del dominio veneziano (1483) sul quale campeggia l'affresco del leone di S.Marco

Nell'omonima piazza sorge la chiesa arcipretale di S.Marco con la facciata in stile neoclassico mentre l'interno è  uno sfarzoso barocco
Il 26 dicembre 1769  l'allora tredicenne Mozart, nel suo primo viaggio in Italia, volle provare il suo organo mandando in visibilio i suoi numerosissimi ammiratori 

Passiamo sotto la Torre Civica e continuiamo in via della Terra

In Via della Terra, la più antica e nobile via di Rovereto, si possono ammirare alcuni dei più importanti palazzi storici della città. La strada collega Palazzo Pretorio in piazza Podestà con la Chiesa di S.Marco. Una scritta ricorda che la strada era amata dal filosofo Antonio Rosmini che qui era solito passeggiare meditando. Le lapidi sulle facciate delle case ricordano che qui hanno vissuto musicisti, scienziati, archeologi e filosofi che hanno dato lustro alla città

Via della Terra. Sullo sfondo la Torre Civica o Torre dell'Orologio che segna il lato nord della cinta muraria costruita dai Castelbarco a protezione del primo nucleo della città
La cinquecentesca Torre Civica oltre all'orologio ospita una potente sirena che suona a mezzogiorno

Sulla sinistra l'ex casa Vannetti, una delle prime sedi dell'Accademia degli Agiati, istituzione culturale nata a Rovereto nel 1750 con lo scopo di promuovere la cultura e le scienze 

Scendendo verso piazza Podestà sulla sinistra ritroviamo via Castelbarco con la salita all'ingresso del castello. Qui finirebbe il nostro giro ma noi proseguiamo fino a piazza Podestà per cogliere qualche altro interessante scorcio di Rovereto
Piazza Podestà e il castello
Nella piazza è stato collocato questo mortaio 305/10 Skoda di fabbricazione austriaca
Il ponte Forbato unisce l'originario nucleo urbano sorto sotto il castello con l'operoso e popolare rione San Tomaso poi diventato S.Maria. Nel 1856 fu costruita questa cascata (el Zambel) per rallentare il flusso delle acque del torrente Leno. Il caseggiato è un antico filatoio. Nel settecento in città se ne contavano 30, dediti alla lavorazione della seta e distribuiti lungo le tre rogge (Roza Grande, Piccola e Pajari) che  partivano da qui
La casa dei Turchi. I balconi traforati in legno permettevano alle lavoratrici  di vedere senza essere viste

Il ponte Forbato e il castello. Qui era sistemata una grande ruota di legno che sollevava l'acqua del Leno facendola così confluire nelle rogge cittadine

Il ponte Forbato

Scarica la traccia gps da Wikiloc

Vedi la mappa di tutte le escursioni del blog

Commenti